La Cassazione torna ad affrontare l’argomento relativo alle conseguenze penali della cancellazione di una società, ovvero se una società debba considerarsi alla stregua di una persona fisica, con conseguente estinzione del giudizio penale, oppure no.
La sentenza n. 25648 del 2024 della Cassazione ha riaperto il dibattito sull'effetto della cancellazione di una società dal Registro delle imprese, equiparandola alla morte dell'imputato e determinando l'estinzione dell'illecito. Questa decisione segna una svolta in una questione giurisprudenziale che ha visto contrapposti diversi orientamenti nel tempo.
La cancellazione di una società dal Registro delle imprese è equiparata alla morte dell'imputato e porta all'estinzione dell'illecito. Lo ha stabilito la Cassazione con la sentenza n. 25648 del 1° luglio 2024, intervenendo su un tema che ha diviso la giurisprudenza. Recentemente si era consolidata una posizione contraria, ma questa sentenza la rimette in discussione, riaccendendo un dibattito che potrebbe richiedere l'intervento delle Sezioni unite. La questione non è solo teorica: l'equiparazione alla morte dell'imputato determina l'estinzione dell'illecito e, di conseguenza, l'improcedibilità dell'azione legale contro un ente ormai non più esistente.
Secondo la sentenza n. 25648, la cancellazione dal Registro delle imprese comporta la cessazione della persona giuridica, il che porta all'applicazione delle norme del Codice di procedura penale previste per l'imputato, in base all'articolo 35 del Dlgs 231/2001 («All'ente si applicano le disposizioni processuali relative all’imputato, in quanto compatibili»), rendendo inapplicabili le sanzioni legate alla sua attività. La riforma delle società di capitali e cooperative, introdotta dal Dlgs n. 6/2003, ha attribuito alla cancellazione effetti costitutivi di estinzione definitiva della società, anche in presenza di debiti o rapporti pendenti. La pronuncia conferma così un orientamento già espresso da parte della giurisprudenza, precisando però che solo l’estinzione fisiologica e non fraudolenta dell’ente può essere paragonata alla morte dell'imputato (Cass. pen. Sez. II, 7 ottobre 2019, n. 41082; Cass. pen. Sez. V, 5 luglio 2021, n. 25492).
D'altro canto, in decisioni più recenti la questione è stata affrontata diversamente. Nel 2022, la Cassazione (in disaccordo con la sentenza 41082/2019) ha affermato che «le cause estintive dei reati sono chiaramente limitate e non possono essere estese», evidenziando che, quando il legislatore ha voluto indicare cause estintive per gli illeciti, lo ha fatto esplicitamente, come nell’articolo 8, secondo comma, Dlgs 231/2001 riguardante l’amnistia, o nell’articolo 67, che prevede l'improcedibilità solo in due casi: quando il reato alla base dell’illecito è prescritto o quando la sanzione è prescritta (Cass. pen. Sez. IV, 17 marzo 2022, n. 9006).
Infine, in una sentenza più recente, la Corte ha sostenuto che «la cancellazione potrebbe diventare uno strumento per evitare le conseguenze di una sentenza» e che, sebbene possa creare problemi per il pagamento dei crediti, non elimina il problema dell'accertamento della responsabilità dell’ente per fatti precedenti (Cass. pen. Sez. II, 14 settembre 2023, n. 37655).
Ciò detto, appare necessario che l’argomento debba essere affrontato in maniera compiuta e definitiva dalla Cassazione a sezioni unite, così da dissipare ogni dubbio sull’argomento ed ottenere una maggiore certezza nel diritto.