L'ordinanza 6782/2024 della Corte di Cassazione ha stabilito che nel contesto di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato, un lavoratore che si dimetta non ha diritto all'indennità sostitutiva nel caso in cui il datore di lavoro rinunci al periodo di preavviso. Secondo la Corte di Legittimità, le implicazioni della rinuncia al preavviso da parte del datore di lavoro dipendono dalla natura reale o obbligatoria del preavviso stesso.
La natura reale del preavviso implica che il rapporto di lavoro prosegua fino alla sua scadenza, quindi la rinuncia da parte del datore di lavoro non determina immediatamente la fine del rapporto di lavoro. Di contro, secondo la tesi dell'efficacia obbligatoria, il preavviso è considerato un obbligo accessorio e alternativo all'esercizio del recesso. Di conseguenza, il lavoratore che si dimette può scegliere tra continuare a lavorare durante il preavviso o pagare un'indennità sostitutiva, che comporterebbe la risoluzione immediata del contratto di lavoro. Questo lascia al datore di lavoro un diritto di credito, che può essere liberamente declinato.
Nel caso giudiziario affrontato dalla Cassazione, sia la Corte d'Appello che il Tribunale avevano ritenuto che il dipendente dimissionario avesse il diritto di scegliere se pagare l'indennità sostitutiva o continuare a lavorare fino alla fine del preavviso. Se il dipendente avesse scelto di pagare l'indennità, la natura obbligatoria del preavviso avrebbe portato alla cessazione immediata del rapporto di lavoro, in conformità con l'orientamento seguito dalla Corte d'Appello. Tuttavia, poiché il dipendente aveva optato per continuare a lavorare durante il periodo di preavviso, i giudici di merito ritenevano che il datore di lavoro fosse stato messo in una situazione di dipendenza, dalla quale avrebbe potuto liberarsi solo pagando l'indennità corrispondente e quindi ponendo fine al rapporto di lavoro. La Corte di Cassazione, tuttavia, ha annullato la sentenza di secondo grado e, decidendo nel merito della questione, ha respinto la richiesta del dipendente di essere pagato per l'indennità di preavviso.
In particolare la Cassazione con l’ordinanza in esame specifica che “dalla natura obbligatoria dell'istituto in esame discende che la parte non recedente, che abbia - come nel caso di specie - rinunziato al preavviso, nulla deve alla controparte, la quale non può vantare alcun diritto alla prosecuzione del rapporto di lavoro fino a termine del preavviso; alcun interesse giuridicamente qualificato è, infatti, configurabile in favore della parte recedente; la libera rinunziabilità del preavviso esclude che a essa possano connettersi a carico della parte rinunziante effetti obbligatori in contrasto con le fonti dell'obbligazioni indicate nell'art. 1173 c.c.”
La Cassazione, infatti, ha confermato il proprio orientamento adesivo alla natura obbligatoria del preavviso, sicché la parte non recedente, che abbia rinunziato al preavviso, nulla deve alla controparte, la quale non può vantare alcun diritto alla prosecuzione del rapporto di lavoro fino al termine del preavviso, in quanto alcun interesse giuridicamente qualificato è configurabile in favore della parte recedente. Ancorché nella sentenza non si rinvenga alcun riferimento al riguardo, gli operatori devono prestare attenzione alle clausole del contratto collettivo nazionale applicato al rapporto di lavoro, posto che in alcuni casi l’obbligo di pagamento dell’indennità sostitutiva a carico della parte non recedente che rifiuta il preavviso è previsto espressamente dalla fonte collettiva, che in tal caso prevarrebbe sull’orientamento della Corte di cassazione.